Molte persone arrivano in terapia spaventate dall’idea di dover parlare del trauma.
Mi dicono: “Non voglio rivivere tutto da capo, perché ogni volta che ci ho provato sono stata peggio”.
E hanno ragione a essere terrorizzate: spesso chi ha già raccontato la propria esperienza si è ritrovato dopo con i sintomi riaccesi — ansia, incubi notturni, immagini intrusive, senso di colpa, difficoltà di concentrazione, attacchi di pianto improvvisi.
Invece di sentirsi sollevati, hanno provato l’opposto: come se il trauma fosse appena accaduto di nuovo.
Questo succede perché rivivere un trauma non è la stessa cosa che rielaborarlo.
Il racconto puro, senza un processo guidato, non porta guarigione: al contrario, rischia di riattivare la ferita.
Per stare meglio, il trauma non va semplicemente raccontato: va rielaborato.
Ed è un processo molto diverso, che coinvolge il cervello in modo completo e sicuro.
In questo articolo ti spiegherò perché parlare del trauma può farti stare peggio, e cosa significa invece rielaborarlo davvero, fino a ritrovare sollievo e libertà.
Parlare del trauma non è sempre terapeutico
Quando una persona racconta ciò che ha vissuto in modo spontaneo, o in un contesto che non offre protezione e contenimento, può accadere qualcosa di molto doloroso: il corpo reagisce come se l’evento stesse accadendo di nuovo.
Tachicardia, sudorazione, senso di pericolo imminente, tremori, nausea, immagini intrusive che irrompono senza controllo.
Il cervello, infatti, in quei momenti non distingue il passato dal presente. Le aree emotive si “accendono” e mandano al corpo il segnale che c’è una minaccia reale, anche se l’evento traumatico è ormai finito.
È come se l’organismo venisse trascinato indietro nel tempo, costringendo la persona a rivivere invece che a ricordare.
Una mia paziente, Laura (nome di fantasia), aveva vissuto un grave incidente stradale. Per cercare sollievo, lo raccontava spesso a colleghi e amici. Ma ogni volta succedeva la stessa cosa: riviveva lo schianto in ogni dettaglio, i rumori metallici, l’odore acre di benzina, la sensazione fisica di essere intrappolata. Dopo questi racconti, non si sentiva alleggerita: al contrario, tornava a casa agitata, con incubi notturni e la convinzione di non aver fatto alcun passo avanti.
Questo accade perché il racconto, se non guidato in modo sicuro, resta un semplice riattivarsi del ricordo traumatico. Non porta integrazione, non aiuta il cervello a collocare l’evento nel passato, ma tiene la persona bloccata in un presente che non esiste più.
Rivivere vs rielaborare: cosa cambia nel cervello
Quando una persona parla del trauma senza una guida professionale o in contesti non protetti, il cervello reagisce come se l’evento stesse accadendo nel presente.
In questi momenti si attivano diverse aree:
- Amigdala, il centro delle emozioni e dell’allerta, che segnala pericolo e genera paura o ansia intensa;
- Ippocampo, coinvolto nella memoria emotiva e contestuale, che registra dettagli dell’evento ma fatica a distinguere passato e presente;
- Sistema nervoso autonomo, che scatena le reazioni di sopravvivenza: tachicardia, sudorazione, tremori, tensione muscolare.
Tuttavia, mancano le aree corticali superiori, come la corteccia prefrontale, fondamentali per dare senso all’esperienza, collocarla nel tempo e modulare l’intensità emotiva.
Senza questo coinvolgimento, il racconto resta solo un rivivere, un loop in cui la persona percepisce di non fare progressi e spesso si sente sopraffatta o scoraggiata.
Rielaborare il trauma, invece, significa parlare dell’evento in modo sicuro e guidato, attivando le aree emotive, quelle razionali e tutto il corpo. In questo processo, la corteccia prefrontale lavora insieme all’amigdala e all’ippocampo, permettendo di:
- Dare senso a ciò che è accaduto;
- Collocare il ricordo nel passato, senza che interferisca con il presente;
- Ridurre l’intensità emotiva e fisica della memoria;
- Iniziare a integrare l’esperienza nel proprio percorso di vita.
Una mia paziente, Chiara (nome di fantasia), vittima di violenza domestica, raccontava continuamente gli episodi alla sua famiglia di origine, ma usciva sempre più ansiosa e colpevolizzata. Solo quando abbiamo affrontato il trauma con un approccio guidato, coinvolgendo tutte le parti del cervello attraverso la terapia EMDR, ha potuto sentire che il ricordo esisteva, ma non la controllava più né la faceva soffrire quotidianamente.
Come funziona la rielaborazione attraverso una terapia EMDR
L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una terapia riconosciuta a livello internazionale proprio perché facilita l’integrazione delle esperienze traumatiche, permettendo al cervello di rielaborarle senza che la persona ne venga travolta.
Durante le sedute, il processo avviene in modo graduale e sicuro:
- Piccole dosi: il paziente parla del trauma a frammenti, senza esserne sopraffatto. In questo modo il ricordo viene esplorato senza generare crisi emotive intense.
- Collegamento tra mente e corpo: il terapeuta aiuta a connettere pensieri, emozioni, sensazioni fisiche e nuove prospettive, creando un percorso in cui il trauma diventa comprensibile e gestibile.
- Stimolazione bilaterale: tramite movimenti oculari o tocchi alternati, si favorisce la comunicazione tra emisfero destro e sinistro del cervello, facilitando l’elaborazione integrata dell’esperienza.
- Riorganizzazione del ricordo: il cervello archivia il trauma in modo più funzionale, riducendo l’intensità emotiva e permettendo di vederlo come un evento del passato, senza che interferisca con la vita presente.
Un esempio concreto è quello di Marco (nome di fantasia), vittima di una relazione abusante. All’inizio, parlare dell’ex compagna lo faceva piangere e lo riempiva di sensi di colpa. Durante le sedute EMDR, affrontando piccoli frammenti del trauma e collegandoli a nuove convinzioni (“Non era colpa mia”, “Ero in una situazione di manipolazione”), ha cominciato a sentire meno dolore e paura. Dopo alcune sedute, il ricordo era presente nella sua mente, ma non più invalidante: Marco riusciva a parlarne senza essere sopraffatto, e la sua vita quotidiana non era più dominata da ansia o pensieri intrusivi.
Perché rielaborare il trauma è diverso
La rielaborazione del trauma non è semplicemente raccontare ciò che è successo: è un processo guidato e sicuro, che permette di affrontare l’esperienza senza esserne travolti.
Possiamo immaginare il terapeuta EMDR come un chirurgo: parlare del trauma senza guida è come aprire una ferita senza medicarla, il dolore si riattiva e il ricordo diventa più pesante; invece, attraverso la tecnica EMDR, il terapeuta apre la ferita con sicurezza e la richiude, permettendo al corpo e alla mente di guarire.
Questo processo avviene in un contesto protetto, con la possibilità di fermarsi in qualsiasi momento, rispettando i tempi e i limiti del paziente. Non si tratta di “sfogare” il dolore, ma di trasformarlo: il ricordo viene affrontato gradualmente, collegando emozioni, sensazioni fisiche e pensieri, fino a ridurne l’intensità.
Con l’EMDR si mantiene attiva anche la parte razionale del cervello, evitando che l’emotività travolga la persona e permettendo di dare senso a ciò che è accaduto. Allo stesso tempo, si imparano strumenti per regolare il corpo e le emozioni mentre il ricordo viene rielaborato: respirazione, attenzione ai segnali fisici, consapevolezza delle emozioni in arrivo.
Il risultato è che il trauma smette di dominare la vita quotidiana: resta un ricordo, ma non più un’esperienza dolorosa che si rivive continuamente.
Conclusione
Parlare del trauma senza rielaborarlo è come prendere in mano un vecchio oggetto doloroso senza sapere davvero come maneggiarlo: lo tocchi, lo guardi, lo scuoti… e il dolore torna ogni volta, travolgente, senza alcun sollievo. Ti senti fragile, vulnerabile, come se ogni parola ti riaprissero ferite che pensavi di aver già chiuso. Ogni ricordo riattivato può portare paura, ansia, immagini intrusive e sensazioni fisiche intense, lasciandoti esausto e confuso.
Rielaborare il trauma, invece, è come costruire una scatola sicura per quell’oggetto. Lo metti dentro con delicatezza, lo osservi, lo sistemi con cura, senza paura di essere travolto. Impari a proteggerti mentre affronti ciò che ti ha ferito, e lentamente quel dolore smette di dominarti. La porta sul passato doloroso si chiude in modo sicuro, permettendoti finalmente di respirare e vivere nel presente con più leggerezza e fiducia.
Il trauma non si cancella dalla memoria, e va bene così: non si tratta di dimenticare, ma di smettere di permettergli di controllare pensieri, emozioni e comportamenti.
Con il giusto sostegno, quell’oggetto doloroso può essere custodito in modo sicuro, e tu puoi trasformarlo in un ricordo da cui hai imparato, invece che in una catena invisibile che limita la tua vita ogni giorno.
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