Colpevolizzare la vittima
Ti è mai capitato che, quando finalmente riesci a lasciarlo, qualcuno ti dica:
“Ma non te ne eri accorta prima?”
“Ti conveniva stare con lui.”
“Sei sempre tu che scegli uomini sbagliati.”
“Dovevi pensarci prima di fare un figlio con lui.”
Ecco. Questo si chiama victim blaming, (ovvero colpevolizzare la vittima)
Ma per chi lo vive sulla pelle, si chiama ulteriore ferita.
E arriva proprio quando stavi iniziando a respirare dopo essere uscita da una relazione tossica, manipolatoria, spesso violenta. Quando stavi raccogliendo i pezzi di te stessa.
Quando, per la prima volta, ti eri permessa di chiedere aiuto, di raccontare la tua storia. E quello che ricevi in cambio è giudizio, sospetto, sottile accusa.
Ti è successo?
Cos’è il victim blaming (e perché fa così male)
Il termine “victim blaming” si traduce letteralmente con “colpevolizzare la vittima“. È un fenomeno per cui, invece di supportare chi ha subito un abuso, si finisce per metterla sotto esame. Come se il suo dolore fosse in qualche modo colpa sua. Come se avesse permesso, attratto, o addirittura provocato ciò che ha subito.
Frasi come:
- “Ma come hai fatto a non accorgertene?”
- “Anche tu però lo hai scelto.”
- “Un po’ te la sei cercata.”
sono tutte espressioni (consapevoli o meno) di victim blaming. E fanno male. Profondamente.
Fanno male perché invalidano. Perché insinuano che la tua sofferenza non sia del tutto legittima. E perché ti obbligano a difenderti, proprio nel momento in cui avresti bisogno di essere accolta.
Quando arriva la colpa dopo il trauma
Uscire da una relazione tossica non è mai semplice. Spesso è un processo lungo, doloroso, pieno di ambivalenze.
Il manipolatore fa leva proprio sulle tue ferite più profonde, e sa come farti sentire in colpa, confusa, sbagliata.
Quando finalmente riesci ad allontanarti, inizi un percorso difficile: quello della ricostruzione.
E invece di ricevere uno sguardo gentile, comprensivo, trovi occhi che giudicano. Trovi chi ti dice che dovevi svegliarti prima. Trovi chi ti chiede: “ma come hai fatto a stare così tanto con uno così?“
Il victim blaming ti riporta indietro. Riapre la ferita. Ti fa sentire sbagliata due volte: prima per essere rimasta, e poi per essere andata via.
Perché le persone lo fanno (e non se ne accorgono)
La verità è che molte persone praticano victim blaming senza rendersene conto. Lo fanno per ignoranza, per superficialità, a volte persino per “darti una scossa“.
Ma la radice profonda è più inquietante: molte persone non tollerano l’idea che il male possa colpire chiunque, anche chi non se lo merita, anche chi è buono, intelligente, capace.
Così, inconsciamente, si aggrappano all’idea che “qualcosa” tu debba aver sbagliato. Perché se tu hai sbagliato, allora loro sono al sicuro. Se la colpa è tua, allora loro possono controllare, prevenire, proteggersi.
Il victim blaming è un meccanismo di difesa collettivo, che però si regge sulla pelle delle vittime.
Il dolore invisibile dopo la fuga
Chi esce da una relazione tossica ha bisogno di un rifugio. Di uno spazio in cui essere creduta, ascoltata, accolta. Il rischio, altrimenti, è di isolarsi ancora di più. Di pensare davvero di essere sbagliata. Di tornare indietro.
Il victim blaming non solo ostacola la guarigione, ma alimenta il senso di colpa, la vergogna, la solitudine.
Può rendere ancora più difficile chiedere aiuto. Può far sentire che non c’è un posto sicuro in cui raccontarsi.
E allora molte persone tacciono. Portano il dolore dentro. Continuano a sorridere fuori. E si sentono profondamente sole.
Come possiamo cambiare le cose
Se stai leggendo questo articolo perché l’hai vissuto sulla tua pelle, sappi che ti vedo. Ti credo.
Hai fatto il passo più difficile: uscire. E non meriti altre ferite. Meriti ascolto, sostegno, tempo. Meriti che qualcuno ti dica: è normale che tu non lo abbia capito subito. È normale che tu sia rimasta così tanto. Non è colpa tua.
Se invece stai leggendo perché vuoi capire meglio, perché vuoi essere di supporto a una persona cara, ricorda questo:
- Non giudicare. Mai.
- Ascolta, anche i silenzi.
- Non offrire soluzioni, offri presenza.
- Non serve dire “io al tuo posto avrei…”. Serve dire: “Ci sono”.
Il victim blaming non si combatte solo con le parole giuste, ma con un cambiamento culturale.
Dobbiamo educarci tutti a riconoscerlo. A non caderci. A stare, in silenzio e in ascolto, accanto a chi ha già subito abbastanza.
Perché le ferite invisibili hanno bisogno di tempo, di sicurezza, di mani che aiutino a ricucire.
Non di dita puntate.
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