Perché mi tratta bene a volte e male altre?
“Mi cerca solo quando sto per allontanarmi.” “Mi ignora per giorni, poi torna affettuoso come se nulla fosse.” “Quando è presente, è tutto meraviglioso. Poi sparisce, cambia tono, diventa freddo. E io resto a chiedermi cosa ho sbagliato.”
Sono frasi che sento spesso da chi vive una relazione altalenante, fatta di attese, speranze e continui sbalzi emotivi. La domanda che più spesso si fanno è: “Perché mi tratta bene a volte e male altre?“.
E dietro questa domanda c’è un meccanismo preciso, potente, che ha un nome poco conosciuto ma un impatto enorme: rinforzo intermittente.
Cos’è il rinforzo intermittente e perché ci tiene legati
Il rinforzo intermittente è un meccanismo psicologico che si attiva quando l’attenzione, l’affetto o la validazione arrivano in modo imprevedibile.
A volte ci sono, a volte no.
Non sai mai quando accadrà, e questo ti spinge a restare, a tentare, a sperare. È come se la tua mente fosse costantemente in attesa di quel momento di calore, che può arrivare o meno.
Questo genera attaccamento. Ma non un attaccamento sano: un attaccamento che confonde e logora.
Non nasce dal nulla. Spesso chi resta impigliato in questo schema ha vissuto qualcosa di simile nella propria famiglia. Genitori emotivamente altalenanti, presenti in certi momenti e assenti in altri. Amore condizionato al comportamento. Vicinanza seguita da freddezza.
Se hai imparato che l’affetto non è stabile, è probabile che, anche da adulto, il tuo sistema emotivo cerchi ciò che è familiare, anche se fa male.
Cosa succede nel cervello quando si vive questo tipo di relazione
A livello neurologico, il rinforzo intermittente attiva il sistema dopaminergico. Ogni gesto affettuoso ricevuto dopo una fase di distanza produce un picco di dopamina, la sostanza che nel nostro cervello è associata alla ricompensa. È la stessa dinamica che si attiva nelle dipendenze. Non è una metafora: è una realtà neurobiologica.
L’imprevedibilità potenzia la risposta. L’attesa, la frustrazione, poi quel piccolo gesto che riaccende tutto – un messaggio, una carezza, un tono più dolce – e tu ti senti di nuovo visto, desiderato.
Ma è un’illusione momentanea. Il tuo cervello, però, si abitua a vivere in quello stato di tensione e sollievo, e inizia a confondere questo ciclo con l’amore.
Quando tutto inizia troppo presto
Molti di noi hanno sperimentato il rinforzo intermittente ben prima di entrare in una relazione romantica.
Lo hanno vissuto nell’infanzia, in forme più o meno visibili. Un padre che lodava solo dopo un successo. Una madre che offriva vicinanza solo quando eri calmo e sorridente, ma si ritraeva se piangevi o ti mostravi fragile. In questi ambienti, si impara che l’amore si merita, si conquista, si può perdere.
Che per essere visti bisogna adattarsi.
E così, quando da adulti si incontra qualcuno che fa esattamente la stessa cosa – si avvicina e poi si ritrae, è affettuoso e poi scompare – qualcosa dentro si attiva. Non lo riconosci subito come tossico. Ti sembra intenso, profondo, coinvolgente.
In realtà, sta solo riattivando ferite antiche. Ma il legame diventa sempre più forte, proprio grazie all’alternanza.
Le conseguenze – mente, corpo e vita quotidiana
Chi vive in una relazione fondata sul rinforzo intermittente spesso sperimenta sintomi che coinvolgono diversi livelli:
- Cognitivo: difficoltà a concentrarsi, pensieri intrusivi, ruminazione continua su frasi dette o non dette.
- Emotivo: ansia anticipatoria, senso di colpa, oscillazioni emotive, paura costante di perdere l’altro.
- Fisico: insonnia, tensione muscolare, emicranie, stanchezza cronica, disturbi gastrointestinali.
- Relazionale: isolamento, difficoltà a fidarsi, difficoltà a riconoscere un affetto stabile come qualcosa di “vero”.
È un logoramento lento. Spesso impercettibile all’inizio. Ti ritrovi a giustificare comportamenti che un tempo non avresti mai accettato. A dubitare di te stesso. A pensare che forse sei esagerato, troppo sensibile, sbagliato.
E ancora una volta, ti chiedi: “Perché mi tratta bene a volte e male altre?” Ma non trovi una risposta chiara.
E in questa confusione, resti.
Come può aiutare l’EMDR
Quando il legame si basa su esperienze emotive irrisolte, lavorare solo sulla parte razionale non basta. La persona sa di non essere trattata bene, ma non riesce a lasciar andare. È qui che entra in gioco l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).
L’EMDR permette di accedere in profondità alle memorie emotive e riprocessarle, liberandole dalla carica negativa e interrompendo il legame tra la ferita del passato e la relazione del presente.
Quando si rielaborano le esperienze di attaccamento intermittente – quelle infantili, ma anche quelle recenti – cambia la percezione del valore personale e della relazione stessa.
Non si tratta di “convincersi” che si merita di più. Si tratta di sentirlo davvero. E a quel punto, la domanda “Perché mi tratta bene a volte e male altre?” perde forza. Perché non è più la domanda giusta. Perché si è già oltre.
Il rinforzo intermittente è un meccanismo potente, che confonde, lega e consuma. Ma può essere riconosciuto.
E si può uscire da questa dinamica.
Serve tempo, consapevolezza, e spesso un lavoro profondo sul piano emotivo.
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